I biscotti Fave dei Morti sono tipici del periodo di Ognissanti.
E quando ero piccola non mi piacevano.
Tra cimiteri, parenti e biscotti.
A piacermi invece era il tradizionale “giro” per cimiteri e le visite ai parenti (viventi) che non vedevamo mai.
La tradizione della visita annuale ai defunti è una tradizione che si è persa.
Quando ero piccola, al contrario, era un affare serio. Le famiglie visitavano più cimiteri, percorrendo anche molti chilometri, per omaggiare morti che nessuno, quasi, ricordava più.
Di quella giornata mi piaceva tutto.
Di solito si trattava del giro dei morti della mamma.
Lei è una romagnola della Bassa e c’erano rami della famiglia sparsi tra i comuni di Lugo, Massa Lombarda e Conselice.
Ma prima di continuare, forse, devo dire qualcosa di più su questi luoghi.
Hanno in comune di essere in provincia di Ravenna ma appartengono a due zone diverse della Romagna. Lugo e Massa Lombarda sono aree agricole dove trovi sopratutto alberi da frutta e dove hanno sede importanti aziende di trasformazione. Entrambe godono di una certa diffusa agiatezza.
Conselice è una realtà sospesa tra Romagna e Veneto, tra mondine e scariolanti. Anticamente aveva persino un porto su un ramo del Po e da lì passava il commercio per Venezia.
Ancora oggi la campagna di Conselice è piatta, bassa (rispetto al livello del mare), e piena di canali. Un tempo era anche paludosa. Qui la terra è meno generosa, bianca e sabbiosa. Anche i romagnoli di lì hanno un carattere diverso. Mi sono sempre sembrati meno rumorosi, più schivi. Sarà per quella nebbia che, un tempo, li avvolgeva per molti mesi l’anno.
Con la pioggia e con il sole.
Mi piaceva camminare nella quiete dei piccoli cimiteri di campagna, tra fiori e candele.
Il sole faceva risplendere il verde del prato e i vetri delle tombe di famiglia. La pioggia bagnava le lapidi che diventavano lucide e, che dire, del mistero della nebbia che, bada lettore, non era quella di oggi.
Era una nebbia fitta e densa che entrava persino in bocca. Le persone spuntavano fuori dal nulla all’improvviso e ovunque regnava un silenzio irreale.
Il giro dei parenti ancora vivi mi piaceva un po’ meno.
Dopo poche domande, una caramella o una fava dei morti –che sotto lo sguardo perentorio di mia mamma dovevo accettare- i grandi sembravano dimenticarsi di me per parlare tra loro. In fondo si sarebbero rivisti l’anno successivo e solo per poco tempo.
Non c’erano parenti dai quali non volevo andare ma solo uno era unico e speciale.
Il mio preferito era un signorino che viveva con l’anziana mamma nel centro di Conselice.
Il signorino.
Mentre attraversavo la piazza guardando il bel palazzo, ero già emozionata.
Una volta arrivati sotto il portico, il babbo suonava al citofono dell’abitazione privata e poi tutti insieme aspettavamo davanti alla porta chiusa del negozio.
L’ingresso dell’abitazione si apriva su una scala anonima e ingombra di scatole che, evidentemente, usavano come prolungamento del magazzino.
Le vetrine che incorniciavano l’ingresso del negozio erano piccole e avevano uno sfondo che non permetteva di vedere dentro. Dopo svariati minuti d’attesa, finalmente la porta si apriva su un uomo che per me non aveva età, era vecchio, ma a ripensarci oggi avrà avuto una cinquantina d’anni circa. Era magro e allampanato, senza capelli, con il viso scavato e gentile. Ma soprattutto ci accoglieva sempre, anno dopo anno, con un camice da lavoro color tabacco chiaro.
Salutava i genitori stringendo loro la mano e poi si faceva di lato per farci entrare.
Appena varcata la soglia, richiudeva prontamente uscio e catenacci.
Dalla piena luce passavamo a una semi luce. La stanza era un quadrato pieno di scaffalature, c’erano due lunghi banchi di legno che correvano lungo le pareti.
Avrei trascorso ore lì dentro ma il meglio doveva ancora venire.
Di fronte alla porta d’ingresso del negozio, dall’altra parte della stanza, iniziava un lungo corridoio che portava nel magazzino e che dovevamo percorrere fin quasi in fondo per incontrare la scala che conduceva al piano superiore e all’abitazione privata.
Immagino che la scelta di passare dal negozio fosse un vezzo del signorino che, probabilmente, aveva piacere di mostrare agli ospiti il campionario del negozio.
E che oggetti! Tra casalinghi e piccoli elettrodomestici, spiccavano gli apparecchi televisivi. A quel tempo chi vendeva tv, soprattutto in provincia, credo sentisse, in qualche modo, di fare parte lui stesso del mondo che usciva dal tubo catodico.
Il corridoio era pieno di oggetti, accatastati dal pavimento fino al soffitto.
Cosa avrei dato per arrampicarmi e guardare dentro. Vedevo frullini a mano che uscivano dalle scatole e televisori appoggiati su vecchie credenze, scolapasta e molto altro. La polvere, mossa dal nostro passaggio, contro luce sembrava pulviscolo d’oro e ai miei occhi di bambina era magica.
Camminavo trattenendo il fiato, sperando di rallentare il percorso.
In realtà i genitori stavano ben attenti a non lasciarmi indietro scortandomi come un condannato verso l’ineluttabile.
E infatti in cima alle scale ci aspettava un’anziana con il viso severo adornato di baffi.
La sua espressione metteva tutti a disagio, anche il figlio che, all’improvviso, sembrava farsi piccolo e scompariva tra le pieghe del suo camice.
Poi quelle visite finirono, immagino in seguito alla morte della signora madre, la donna baffuta. Mi piace pensare che il signorino finalmente fu libero di sposare una soubrette della tv capitata per caso da quelle parti.
Le fave dei morti.
Il dolce tipico di questa ricorrenza è quello dei biscotti detti fave dei morti.
Nei forni di Bologna e della Romagna si trovano soltanto la prima settimana di novembre in concomitanza con la celebrazione dei Santi, primo novembre, e dei morti, due novembre. Esistono tante versioni di questo biscotto.
Il nome contiene un bizzarro riferimento a un legume che non fa parte della ricetta, le fave. Il motivo è da cercare nell’usanza che risale addirittura agli antichi romani, motivo per cui Pellegrino Artusi chiama questi biscotti Fave alla romana o dei morti, raccontando che anticamente era tradizione usarle come offerta funebre per le divinità. Si credeva infatti che le fave contenessero le anime dei morti e, in epoca successiva, che assomigliassero alle porte dell’Inferno.
Ecco dunque che da questa usanza nascono i biscotti che prendono il nome di fave dei morti e che si preparano per Ognissanti.
La ricetta.
Quella di casa assomiglia molto alla terza delle tre versioni proposte da Pellegrino Artusi (senza tuorlo).
Le fave dei morti sono, di solito, di diversi colori ma io non amo troppo i coloranti e ho utilizzato una polvere naturale di barbabietola rossa. Senza esagerare e, ti dirò, questo color cipria non mi dispiace per nulla. Una valida alternativa ai coloranti è quella di aggiungere un goccio di alchermes.
Il biscotto non è difficile da fare, solo un po’ delicato per via degli albumi da montare.
È una ricetta naturalmente senza glutine.
Io me le ricordo così, senza lievito, un po’ dure, non precise, a volte aromatizzate con l’anice, a volte no. Allora non mi piacevano e adesso che non si trovano quasi più mi ritrovo a farne la voglia. Così è la vita.
Buona cucina, Monica
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Ricetta dei Biscotti Fave dei Morti
per circa 15 biscotti
Ingredienti
1 albume
50 g di mandorle tritate finemente
125 g di zucchero semolato
3 cucchiaini da tè di farina di riso
un pizzico di sale
Procedimento
Trita finemente le mandorle in un robot tritatutto con lo zucchero.
Versa il composto in una ciotola, aggiungi gli albumi, la farina e il sale e monta con la frusta.
Se vuoi aggiungere dei coloranti, fallo ora.
Se usi più colori, suddividi l’impasto in uguali quantità e mescola ognuna con un colore diverso.
Trasferisci in una tasca da pasticcere usa e getta, rivesti una teglia larga di carta forno e forma dei biscotti tondi o ovali di 2 cm sistemandoli ben distanziati.
Cospargi la superficie con zucchero semolato e lascia riposare nel forno spento, magari con la lucina accesa per un’ora o due.
Prima di cuocere, incidi la superficie dei biscotti con un coltellino in modo da rompere la pellicola che si è formata in superficie.
Cuoci in forno statico e già caldo (150 gradi) per circa 13-15 minuti.
Lascia raffreddare fuori dal forno.
2 Commenti
Carolina
Che bella storia … mi hai ricordato i giri per parenti e cimiteri della mia infanzia.
Ora sono rimasti pochi parenti, ma il giro al cimitero e la tradizione dei biscotti sopravvive. Dai noi si usano gli ossi: biscottoni dalla forma che ricorda vagamente un osso a base di burro uova, zucchero e farina bianca e di mais.
Monica
Dovremmo avere più cura delle nostre tradizioni, non dico restare fermi e immobili nel rispetto del passato che non sarebbe cosa. Ma forse siamo andati un po’ oltre nel processo di cambiamento, o forse sono io che invecchiando divento malinconica. Grazie per avermi raccontato la tua tradizione, non conoscevo i biscotti ossa dei morti! Un abbraccio, Monica