In Romagna, il vin brulè si chiamava vino caldo.
Uso una forma al passato visto che di quella bevanda, che i contadini romagnoli usavano come metodo per contrastare il gelo invernale e malanni di stagione, sopravvivono giusto una manciata di ricordi e qualche citazione nelle raccolte gastronomiche di cucina romagnola, soprattutto se datate.
La dicitura vin brulè sottende un vino bollito con zucchero e spezie, oltre che una preparazione casalinga e contadina. Oggi lo associamo prevalentemente al Natale e al Trentino Alto Adige ma un tempo era diffuso in molte zone d’Italia.
Molti non sanno che il vino caldo, o semplicemente detto brulé, è un prodotto agroalimentare tradizionale dell’Emilia-Romagna. Un riconoscimento che testimonia la sua diffusione.
Era abitudine, in certe località (della Romagna), bere il brulé la sera di San Sebastiano (20 gennaio). Più in generale, oltre che come simpatico compagno di conversazioni attorno al tavolo nelle fredde serate d’inverno, dedicate magari alle partite a carte, era ed è visto come bevanda particolarmente indicata per chi abbia il raffreddore, il mal di gola o sia in procinto di buscarsi un’influenza.
(dal Dizionario della cucina romagnola. Ricette, vini, personaggi, a cura di E. Morini e S. Vicarelli).
Anche Graziano Pozzetto, nella sua raccolta dedicata a Le cucine di Romagna, con prefazione di Tonino Guerra, poeta e scrittore romagnolo, cita la ricetta del vino caldo e lo fa usando proprio questo nome.
La stagione del vino caldo
La cucina è la stanza più accogliente nelle gelide serate di gennaio e febbraio quando, finalmente, l’inverno stende il suo mantello su case, strade, alberi e pensieri.
Ad attirarmi sono il calore prodotto da una festosa luce gialla e la percezione del fluire quieto della vita domestica di una famiglia in una serata d’inverno.
Il mondo chiuso fuori e gli abitanti raccolti nel cuore della casa.
È dopo cena e la famiglia è di nuovo riunita attorno al tavolo di legno che ora si presenta libero da tovaglia, piatti e bicchieri.
Il rumore dello schiaccianoci scandisce il ritmo. Il profumo dei chiodi di garofano e del vino caldo diffondono benessere sotto forma di vapore. Il bicchiere bollente tiene calde le mani che mescolano le carte.
Gli adulti sono presi dal gioco. A seconda dell’esito del gioco, il silenzio è rotto da esclamazioni di rammarico e di vittoria. Osservo con calma quei visi cari al mio cuore.
Infine sorrido a un giocatore minuscolo per taglia ed età.
È una bambina di circa 10 anni, sottile come un giunco. Ha un mazzo di carte tutto suo, qualche foglio e una penna per tenere i punti, solo che lei gioca da sola.
Ogni tanto mangia una noce, gioca a un gioco tutto suo, segue con attenzione la preparazione del vino caldo, cosa che avviene sempre a metà serata.
Lei non lo berrà ma le piace quel profumo speziato che riempie la stanza.
Appoggia le mani sul bicchiere caldo del babbo mentre annusa la bevanda e sorride a quella donna adulta che la osserva dalla soglia della cucina e del tempo.
Freddo pungente, vin brulè e ricordi
Ogni volta che il sipario si apre improvviso su questo ricordo, vedo me stessa adulta che osserva, da una certa distanza, una scena di vita familiare. E quello che vedo mi fa sempre pensare a un presepe, anche se senza Bambino. Non mi chiedere il motivo.
Le luci, i pranzi interminabili, le visite di ospiti e amici e il clima di festa del Natale, hanno lasciato posto alla quiete e al freddo di gennaio quando, finalmente, l’inverno può appropriarsi del mondo senza sembrare poco gentile.
Non so dire se la ragione è da cercare nel fatto che una volta faceva più freddo, c’era più nebbia e nevicava più spesso. O se la calma dei primi mesi dell’anno era una conseguenza della frenesia del Natale.
Quello che posso dire è che il freddo di gennaio tratteneva le persone in casa in attesa di febbraio e di Sanremo, quando il festival della canzone italiana fermava tutto il paese.
Quel rigore acquietava anche mio padre che per i suoi impegni era più fuori che a casa, anche di sera.
In quelle rare e felici occasioni, la famiglia si riuniva in cucina per giocare a carte, mangiando frutta secca e bevendo un bicchiere di vino caldo preparato al momento.
Quelle serate erano per me una grande gioia e oggi un bel ricordo.
Ero appagata dal tempo trascorso insieme. E, per giunta, nella stanza che ho amato di più sin da bambina, quella dove trascorrevo le giornate in compagnia della nonna.
La cucina è spazio fisico e metafisico.
E oggi che ho fatto del racconto del cibo il mio lavoro posso affermare con certezza che non esiste altro luogo così pieno di storie, voci, emozioni.
A casa era nonna, nata e cresciuta nella campagna romagnola, che preparava il vino caldo come prima faceva sua mamma. Questa è la sua versione.
Buona cucina, Monica
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Vino caldo, il vin brulé di Romagna
Ingredienti
- 1 l di vino rosso, tipo Sangiovese
- 50 g di zucchero o di miele
- 1 fetta sottile di arancia
- qualche filo di scorza di limone
- 10 chiodi di garofano
- 3 foglie di alloro
Facoltativo
- 1 pezzo di stecca di cannella
- qualche grano di pepe
Istruzioni
- In una pentola versa il vino rosso e aggiungi lo zucchero.
- Ottieni qualche filo di scorza dal limone e taglia una fetta sottile di arancia.
- Aggiungi le scorze di limone e la fetta di arancia nel vino, poi unisci anche le spezie.
- Su fornello piccolo, porta il vino quasi a bollore mescolando, per sciogliere lo zucchero. Po abbassa la fiamma e cuoci per altri 15 minuti senzamai perdere di vista la pentola.
- Filtra il vin brulé con un colino e versa nei bicchieri o nelle tazze.
- Puoi conservare in frigorifero per due giorni e riscaldare prima di servire.